CENNI STORICI SULLA VALCANALE
Parlare di storia della Valcanale, all’interno del contesto attuale, in cui l’abolizione dei confini fisici e culturali è diventato simbolo di unione europea, deve necessariamente passare attraverso l’analisi di quegli stessi confini che, nel corso degli ultimi dieci secoli, sono variati col succedersi delle dominazioni che hanno regolato la vita sociale della valle.
E’ un compito arduo ma è pur sempre necessario alla comprensione delle origini delle etnie che, da sempre, qui dimorano.
Nel corso degli anni si sono sviluppati tessuti sociali e forme tradizionali e culturali che hanno retto all’usura del tempo, consolidandosi e tramandandosi nei secoli, fino a formare un’identità montana che non ha vacillato significativamente se non nel momento cruciale della prima guerra mondiale.
Il trattato di Saint Germain del 1919 ha stabilito nuove linee di confine, basate meramente sui luoghi fisici e sugli interessi economici ad esse collegati. Questo fatto ha creato una divisione forzata all’interno del contesto identitario montano, all’epoca ancora omogeneo e per molti versi condiviso in un’ampia regione riconducibile all’intero arco alpino. Per le similitudini del territorio, per la necessaria uniformità della vita e per il tipo similare di cultura rurale, sussisteva una sorta di identità comune tanto radicata da caratterizzare, per secoli, le popolazioni della montagna. Ciò è riscontrabile non solo nella Valcanale e nel Friuli, ma più genericamente nelle valli alpine, con contaminazioni estese anche alle pianure pedemontane. Inoltre la valle ha sempre rappresentato una porta aperta e un luogo di transito per scambi di ogni tipo tra popoli anche molto diversi tra loro.
La catena delle Alpi è, in questo senso, più che un confine, una porta e un luogo di fusione tra diverse popolazioni.
Dall’anno 1007 la dominazione bamberghese in Valcanale ha consentito il crearsi di condizioni favorevoli allo sviluppo di un contesto sociale in lenta ma continua evoluzione. Tale evoluzione, prevalentemente a base rurale per almeno quattro secoli, ha poi dato vita ad una struttura commerciale, sbocciata nella nascita della Stadt Markt Tarvis (1456). Questo fiorente commercio scaturiva da antiche motivazioni dovute alla morfologia della valle che era via di transito verso il nord europeo già in epoca romana e forse anche in precedenza. Veniva così rafforzata l’appartenenza alla regione della Carinzia, che era appunto propaggine amministrativa del vescovado di Bamberga, sovrintendente alle operazioni produttive e doganali. L’influenza mediterranea era favorita dai contatti con la vicina Venezia che, con il suo porto, serviva le attività commerciali e già aveva intrattenuto, nei tempi passati, relazioni consistenti con il territorio. Importante, in zona, è sempre stata l’attività estrattiva delle miniere di Raibl e Bleiberg con la conseguente lavorazione ed esportazione di zinco e piombo.
Il succedersi, nel 1759, della casa d’Asburgo al vescovado di Bamberga e la crescita dei traffici del porto di Trieste modificò in parte l’entità del passaggio delle merci che ora poteva avvenire anche attraverso la via di Pflitsch (Plezzo-Bovec) passando attraverso Raibl che era centro di estrazione mineraria già dagli inizi del XV secolo e aveva favorito lo sviluppo di un’intensa attività di battitura dei metalli, soprattutto nella zona di Malborghetto e nel paese di Weissenfels dove, nella seconda metà dello stesso secolo, sorsero importanti impianti metallurgici.
Una struttura doganale, in aggiunta a quella già esistente sulla via Romana, presso l’attuale farmacia, venne quindi istituita a Tarvisio Bassa per la gestione dei nuovi traffici provenienti da Trieste, attraverso Raibl. Nei pressi della chiesa della Vergine di Loreto sorgeva l’antica muda o centro doganale di Niederen Tarvis (Tarvisio Bassa), utilizzata per gli scambi cerealicolo-vinicoli e di spezie e stoffe con il Sud e verso l’Oriente.
Da questo momento in poi Tarvisio fu vero centro di mercato e doganale; da una parte verso il Nord in direzione di Carinzia e Germania dall’altra verso il Sud, avvalendosi dei porti di Trieste e Venezia.
La cittadina acquistava già il suo carattere multietnico con la presenza di ceppi di molteplice provenienza: gli autoctoni potevano essere suddivisi nel ceppo celtico o germanico e in quello slavo con agglomerati localizzati in diversi paesi della valle; vi risiedevano poi abitanti di origine italiana che avevano esercitato commercio e governato il Friuli con sedi ad Aquileia, Cividale e Palmanova.
Negli ultimi anni del XVIII secolo l’espansionismo napoleonico lasciò tracce tuttora riconoscibili: la meticolosa stesura delle mappe catastali della valle risale proprio a quel periodo ed in alcuni punti strategici, in cui combatterono le truppe austriache contro i soldati francesi, ancora oggi si commemorano i caduti di quelle battaglie.Vi fu però una scarsa interferenza culturale da parte dei francesi in quanto il breve ed alternato periodo della loro dominazione non consentì il radicarsi di usi e costumi, anche perché la presenza francese era sostanzialmente militare e burocratica.
Molto più complesso fu, invece, il periodo successivo. Esso vide l’alternanza alla radice nordica dell’influenza italiana che riusciva, a forza, a farsi strada lungo il Canal del Ferro, modificando atteggiamenti e inibendo o impedendo le consolidate forme tradizionali. L’Europa della prima metà del XX secolo sarebbe stata interessata, da lì a poco, da cambiamenti sociali e politici come mai in precedenza. Dopo la prima guerra mondiale i confini subirono uno sconvolgimento tale che, in Valcanale, le popolazioni autoctone non si potevano riconoscere nelle nuove linee tracciate tenendo conto esclusivamente degli interessi delle nazioni.
La presenza della miniera di Raibl e dell’antica città mercato di Tarvisio oltre che degli impianti di Weissenfels è stata certamente determinante per l’estensione dello Stato italiano da Pontebba fino agli attuali confini. Alla popolazione di ceppo germanofono della Valcanale venne però data, pochi anni dopo, la possibilità di scegliere se far parte della nuova Italia di Mussolini o optare per continuare ad appartenere alla Germania di Hitler. Fu un momento di grande caos sociale, caratterizzato dall’espianto di numerose famiglie dal loro territorio ed il reimpianto in un altro Paese, amico per tradizioni e cultura, ma pur sempre estraneo per economia e relazioni sociali. Testimonianze confermano che, in alcuni paesi, il tasso di trasferimento abbia raggiunto l’80%, causando una radicale riorganizzazione dei centri urbani. La gestione dei servizi fu presto affidata a friulani del Canal del Ferro, l’amministrazione veniva invece assegnata a funzionari provenienti dalle lontane città italiane. Anni di riassestamento sociale furono inevitabili e, con questi presupposti, anche gli ultimi indecisi optarono per la Germania, che esercitava ancora una forte attrazione sulle popolazioni autoctone che riconoscevano in quella nazione origini, costumi e cultura.
Si può affermare che vi fu una grande condivisione del valore dell’idea di patria (Heimat).
Proprio quest’idea era il centro attorno al quale ruotavano dubbi e perplessità: patria era il proprio luogo nativo oppure l’appartenenza ad un ceppo linguistico e culturale? Le scelte tra l’uno e l’altra furono soggettive ed ognuno si regolò secondo valutazioni personali. Non secondario, nelle decisioni, fu il fattore umano e sentimentale: alcune storie dal sapore amaro riportano di come certe famiglie abbiano rinunciato al trasferimento perché si sarebbero sentite usurpatrici delle proprietà altrui in quanto, per far posto ai nuovi arrivati, venivano allontanati i nuclei di origine ebrea o i dissidenti o chi risultava indesiderato e scomodo ad un potere in rapida riaffermazione.
Gli abitanti della Valcanale furono così divisi ed allontanati dalle consuete relazioni sociali. “Rifarsi una vita” non era più solo un modo di dire ma faceva parte della realtà quotidiana, sia per chi, valicato il confine, si trovava nella vicina Carinzia, sia per chi, rimasto nei paesi nativi, si trovava ad aver a che fare con la nuova dominazione italiana che non vedeva di buon occhio questi autoctoni ed individuava in essi un pericolo antinazionalista. Quello che era accaduto a pochi passi ed alcuni anni prima nel Canal del Ferro non era stato dimenticato: vigeva, nella valle del Fella, il divieto di partecipare a forme linguistiche e culturali di origine austriaca, era in vigore una forte forma di nazionalismo ed era definito “austriacantismo” ogni atteggiamento che potesse far trasparire simpatia verso tradizioni, cultura e lingua tedesche. Venivano tenuti d’occhio tutti coloro che manifestavano tendenze anti italiane e spesso bastava una denuncia, basata anche solo sul pettegolezzo, per procurare pedinamenti e controlli, se non addirittura la costrizione a lasciare il paese per l’interno della nazione. Ciò accadeva nel Canal del Ferro già da quando, antecedentemente alla prima guerra mondiale, la Valcanale era asburgica.
Quando successivamente, nei primi anni quaranta, gli abitanti del Canal del Ferro poterono insediarsi, a seguito delle opzioni, in Valcanale, numerosi vi trasferirono modi ed atteggiamenti con ovvia dominante italiana dovuta a quella efficace propaganda.
Quegli stessi Paesi che ora avrebbero dovuto essere osteggiati, avevano fornito lavoro e sussistenza alle popolazioni stanziali per lunghi anni, decenni e anche secoli.
Il periodo successivo riavvicinò in un certo qual modo l’Italia all’Austria ed alla Germania e, con l’alleanza della seconda guerra mondiale, la Valcanale ritornò a respirare aria di casa anche se il clima non poteva certo ritenersi disteso e fraterno. Forti interessi militari sovrastavano le relazioni sociali che ancora una volta erano sovvertite e si poteva di nuovo guardare di buon occhio l’oltreconfine. Ma ancora un cambiamento attendeva la valle: la liberazione da parte delle Forze Alleate reintroduceva la dominante italiana, riproducendo la frattura di pochi anni prima.
Nel corso di trent’anni si era passati più volte da una “sponda” all’altra e l’identità della valle era dubbia e vacillante, a causa delle molteplici influenze e costrizioni subite.
Le usanze di un tempo stentavano a riprendere piede ed alcune di esse poterono sopravvivere solo perché tramandate a rischio di emarginazione e delazione. Tra coloro che erano rimasti era preponderante la volontà di intrattenere rapporti, basati sulle usanze dei padri e vi era, inoltre, la necessità di relazionarsi con chi, parenti o amici, si trovava al di là del confine. Ciò risultava spesso difficile ed era osteggiato (o a malapena consentito) dalle autorità, che vedevano nel confine la garanzia della salvaguardia dell’integrità nazionale.
Solo nel successivo trentennio queste relazioni poterono rafforzarsi, dapprima in modo quasi nascosto ma poi, con il sorgere di un’embrionale coscienza europea, più liberamente.
Usanze e tradizioni riacquistarono lentamente l’antico valore all’interno dei nuclei autoctoni germanofoni e la difficoltà ad appartenervi, dovuta a fattori di discriminazione, lasciava sempre più spazio alla riscoperta della propria identità. Ora l’appartenenza ad un gruppo minoritario non comprometteva più la libera espressione delle proprie opinioni, legate a fenomeni sociali che sembravano essere d’oltreconfine ma che in realtà appartenevano ad un unico popolo fino a pochi decenni prima.
La forza delle proprie radici e l’appartenenza etnica trovarono espressione in un’identità che, se si era irrimediabilmente perduta nei suoi caratteri originali, esigeva ora di rinascere su nuove basi revisionate. Al fine di riallacciare e di mantenere i rapporti sociali con le genti della propria etnia nella vicina Austria, furono costituiti i primi nuclei delle Associazioni Culturali della Valcanale. Il primo si istituì in Italia nel 1979. In seguito anche in Carinzia, nel 1989, sorse un gruppo con le medesime finalità ed iniziò una stabile collaborazione ed uno scambio sui temi dell’identità, della cultura, della storia e delle tradizioni condivise. Un solo popolo, apparentemente separato da linee di confine, che oggi hanno fortunatamente carattere sempre più effimero, si riuniva.

La Piazza di Tarvisio prima delle moderne ristrutturazioni
Der Platz von Tarvis vor der modernen Restaurirung
BEMERKUNGEN ZUR GESCHICHTE DES KANALTALS
Wenn wir über die Geschichte des Kanaltals im Kontext der heutigen Zeit sprechen, in der das Verschwinden der physischen und kulturellen Grenzen zum Symbol für die Europäische Union geworden ist, müssen wir uns dennoch mit genau jenen Grenzen auseinandersetzen, welche sich in den letzten Jahrhunderten unzählige Male entsprechend der jeweiligen Herrschaftseinflüsse veränderten und damit das soziale Leben im Tal maßgeblich mitbestimmten.
Es ist dies ein schwieriges Unterfangen, welches mehr mit einer historischen, als dokumentarischen Analyse zu tun hat und zum Verständnis des Ursprungs der Volksgruppen notwendig ist, die dieses Tal bereits seit langer Zeit besiedeln.
Im Laufe der Jahre entwickelten sich soziale Strukturen und traditionelle sowie kulturelle Formen, die der Zeit widerstanden und sich bis zur Bildung einer eigenen alpinen Identität verfestigten und von Generation zu Generation weitergegeben wurden. Erst mit dem Ersten Weltkrieg geriet diese alte Identität ins Wanken. Der Vertrag von Saint Germain aus dem Jahr 1919 legte aufgrund der physischen Gegebenheiten und der damit verbundenen ökonomischen Interessen neue Grenzen fest. Damit erfuhr das Gefüge dieser speziellen alpinen Identität eine gewaltsame Trennung. Diese Identität war bis zum damaligen Zeitpunkt noch homogen und entsprach dem Leben in anderen Gegenden der Alpen. Aufgrund der Ähnlichkeiten des Gebiets, der notwendigen Gleichförmigkeit des Lebens und derselben ländlichen Kultur bestand eine tief wurzelnde gemeinsame Identität, die Jahrhunderte lang die in den Bergen lebende Bevölkerung bestimmte. Dies lässt sich nicht nur im Kanaltal und im Friaul, sondern ganz allgemein in den alpinen Tälern, als auch im Gebiet der Voralpen beobachten. Zudem stellte das Kanaltal stets ein offenes Tor und einen Durchgang für diverse Formen des Austausches zwischen den verschiedenen Völkern dar.
Die Alpenkette bildete in dieser Hinsicht vielmehr ein Tor und einen Ort der Verschmelzung, als eine bloße Grenze.
Ab dem Jahr 1007 schuf die Herrschaft der Babenberger ein günstiges Klima zur Entstehung eines sich langsam, jedoch stetig entwickelnden sozialen Gefüges. Dieses war über zumindest vier Jahrhunderte hinweg ländlich bestimmt und führte erst spät zu einer wirtschaftlich orientierten Struktur und damit zur Gründung der Marktstadt Tarvis im Jahr 1456. Der blühende Handel profitierte von der speziellen Morphologie des Tales, welches bereits seit römische Zeit (und vielleicht sogar früher) als Transitroute über die Alpen genützt wurde. Damit verstärkte sich die Zugehörigkeit des Tals zur Region Kärnten, welche einen administrativen Außenposten des Bistums der Babenberger darstellte, die die Produkte und Grenzen kontrollierten.
Der mediterrane Einfluss wurde durch die Kontakte mit dem nahen Venedig und seinem Handelshafen begünstigt. Bereits in vergangener Zeit hatte diese Stadt feste Beziehungen mit dem Gebiet des Kanaltals aufgenommen. Wichtig war stets auch der Bergbau in Raibl und Bleiberg samt der Ausfuhr von Zink und Blei.
Im Jahr 1759 folgten die Habsburger auf die Babenberger und der Wachstum des Hafens von Triest schuf einen neuen Transitweg für die Warentransporte über Pflitsch (Bovec) und Raibl. Vor allem Raibl war bereits zu Beginn des 15. Jahrhunderts ein Bergbauzentrum, was vor allem in der Gegend von Malborghetto und im Ort Weissenfels in der zweiten Hälfte des Jahrhunderts zur Ansiedlung zahlreicher Metall verarbeitender Betriebe führte.
Damit entstand in Tarvisio Bassa (Untertarvis) zusätzlich zum bereits auf der Via Romana bestehenden Grenzübergang eine neue Grenzstation zur Verwaltung der neuen über Raibl aus Triest kommenden Warenströme. In der Nähe der Kirche der Jungfrau von Loreto erhob sich die alte Grenzstation von Tarvisio Bassa, welche für den Handel mit Getreide, Wein, Gewürzen und Stoffen genutzt wurde.
Damit wurde Tarvis zu einer wichtigen Markt- und Grenzstadt: Richtung Norden nach Kärnten und Deutschland und Richtung Süden dank der Häfen von Triest und Venedig.
Das Städtchen erlangte damit seinen multiethnischen Charakter mit Volksstämmen verschiedenster Herkunft: die autochthone Bevölkerung bestand aus Kelten, Germanen und Slawen und siedelte in verschiedenen Dörfern des Tales. Zudem lebten dort Menschen italienischer Herkunft, welche Handel trieben und das Friaul von Aquileia, Cividale und Palmanova aus regierten.
In den letzten Jahren des 18. Jahrhunderts hinterließ die napoleonische Expansionspolitik bis heute erkennbare Spuren. So geht etwa die genaue Erfassung der Katasterkarten bis auf diese Zeit zurück und an einigen strategisch wichtigen Punkten, an denen die österreichischen Truppen gegen die französischen Soldaten kämpften, wird bis zum heutigen Tage an die Gefallenen jener Schlachten erinnert. Es gibt jedoch kaum kulturelle Spuren aus dieser Zeit, da die relativ kurze Dauer der französischen Besatzung eine Vermischung mit der lokalen Kultur nicht erlaubte und sich überwiegend auf militärische und bürokratische Aufgaben beschränkte.
Um einiges folgenreicher war jedoch die folgende Periode, als die Herrschaft abwechselnd germanisch und italienisch war. Den Italienern gelang es, sich entlang des Canal del Ferro (Eisental) mit Gewalt Einfluss zu verschaffen und veränderten bzw. unterbunden damit die bewährten traditionellen Formen des Zusammenlebens. Das Europa der ersten Hälfte des 20. Jahrhunderts war Schauplatz sozialer und politischer Veränderungen in einem bisher unbekannten Ausmaß. Nach dem Ersten Weltkrieg existierten die alten Grenzen nicht mehr und die autochthone Bevölkerung des Kanaltals konnte sich nicht mit den neu und aus nationalem Interesse gezogenen Grenzlinien identifizieren.
Die Bergwerke von Raibl und die alte Marktstadt Tarvis, als auch die Anlagen von Weissenfels waren von entscheidender Bedeutung für die Ausdehnung des Italienischen Staatsgebietes von Pontebba bis zur heutige Grenze. Für die deutschsprachige Bevölkerung des Kanaltals bestand jedoch die Möglichkeit, sich für das neue Italien unter Mussolini zu entscheiden oder für Hitlerdeutschland zu optieren. Dies führte zu einem sozialen Chaos, als zahlreiche Familien ihre angestammte Gegend verließen und in ein traditionell und kulturell verwandtes, jedoch ökonomisch und sozial fremdes Land zogen. Zeitgenössische Berichte bezeugen, dass in einigen Dörfern bis zu 80% der ursprünglichen Bevölkerung abwanderte und es damit zu einer radikalen Neuorganisierung der Dörfer kam. Die Organisation der Betriebe wurde den Friulanern aus dem Canal del Ferro anvertraut, während die Verwaltung von Funktionären aus den fernen italienischen Städten übernommen wurde. Jahre der sozialen Neuordnung waren unvermeidlich und unter diesen Voraussetzungen optierten auch die letzten Unentschlossenen für Deutschland, das immer noch eine starke Anziehungskraft auf die autochthone Bevölkerung ausübte, die in dieser Nation ihre Ursprünge, Sitten und Kultur zu erkennen glaubte.
Damals bestand ein gemeinsames Verständnis für den Wert der „Heimat“ und dennoch war es gerade dieser Begriff, um den sich Zweifel und Unverständnis rankten: Steht der Geburtsort oder vielmehr die Zugehörigkeit zu einem gemeinsamen Sprach- oder Kulturraum für den Begriff Heimat? Die Definitionen fielen unterschiedlich aus und jede Zuordnung verriet persönliche Beweggründe. Nicht zu unterschätzen war dabei auch der menschliche Faktor, zumal einige Familien auf den Umzug verzichteten, da sie sich nicht als Besetzer fremden Guts fühlen wollten, denn um Platz für die Neuankömmlinge zu schaffen, wurden oft Familien jüdischen Herkunft, Regimekritiker oder all jene Personen vertrieben, die dem rasch erstarkenden neuen Regime entgegen standen.
Die Bevölkerung des Kanaltals wurde damit entzweigerissen und aus ihrem traditionellen sozialen Gefüge entfernt.
„Sich ein neues Leben aufzubauen“ war damit mehr als eine bloße Redewendung und wurde zur täglichen Realität für alle, die die Grenzen in Richtung des nahen Kärnten überschritten hatten, als auch für jene, die sich zum Verbleib in den heimatlichen Dörfern entschieden hatten und sich nun mit der neuen italienischen Verwaltung arrangieren mussten, welche die ursprüngliche Bevölkerung mit misstrauischem Blick beobachtete und in ihr eine antinationale Gefahr sah. Was ein paar Jahre zuvor im Canal del Ferro passiert war, wurde nicht vergessen: Damals war es im Val di Fella verboten, die österreichische Sprache oder Kultur zu pflegen und es herrschte ein starker Nationalismus, der jedes Verhalten, welches Sympathien für die deutsche Tradition, Kultur und Sprache erkennen ließ, als „austriacantismo“ verunglimpfte.
All jene, die antiitalienische Tendenzen zeigten, wobei oft bereits eine auf einem Gerücht basierende Anzeige ausreichte, wurden unter Beobachtung gehalten, überwacht, kontrolliert oder sogar aus dem heimatlichen Dorf tief nach Italien vertrieben zu werden. Dies passierte jedoch im Canal di Ferro bereits vor dem Ersten Weltkrieg zu Zeiten der Habsburger. Als sich dann in den frühen 40er Jahren die Bewohner des Canal di Ferro in Folge der Option im Kanaltal ansiedeln konnten, brachten sie Gebräuche und Verhaltensweisen mit, die eindeutig italienisch dominiert waren und von der offiziellen Propaganda gefördert wurden.
Dieselben Dörfer, die jetzt bekämpft werden sollten, hatten über lange Jahrhunderte hinweg für die ansässige Bevölkerung Arbeit und Auskommen geliefert.
Die nachfolgende Periode näherte Italien an Österreich und Deutschland wieder ein wenig an und mit der Allianz im Zweiten Weltkrieg wehte im Kanaltal wieder ein vertrauter Wind, auch wenn das Klima damals sicher alles andere als entspannt und brüderlich war. Starke militärische Interessen überlagerten die sozialen Beziehungen, die sich einmal mehr verkehrten und die andere Seite der Grenze wurde nun wieder mit freundlichem Blick betrachtet. Jedoch stand dem Tal noch ein weiterer Wechsel bevor: Die Befreiung durch die alliierten Truppen stellte die italienische Herrschaft über das Gebiet wieder her und wiederholte damit den Bruch von nur wenigen Jahren zuvor.
Im Laufe von dreißig Jahren wechselte die Herrschaft mehrmals von einer Seite auf die andere und aufgrund der mehrfach erfahrenen Einflüsse und Interventionen wurde die Identität des Tales fragwürdig und schwankend.
Die Gebräuche von einst fassten nur schwer wieder Fuß und einige von Ihnen überlebten nur dank der Überlieferung trotz der Gefahr von Ausgrenzung und Denunzierung. Unter jenen Menschen, die zurückgeblieben waren, herrschte der Wille, die alten Beziehungen nach den Gebräuchen der Väter wieder aufzunehmen und zudem Kontakt mit Verwandten oder Freunden jenseits der Grenze herzustellen. Dies erwies sich jedoch oft als schwierig und wurde von den Behörden bekämpft (oder zumindest nur unwillig gestattet), die in den Grenzen die Garantie zur Erhaltung der nationalen Integrität sahen.
Erst in den folgenden 30 Jahren konnten sich diese Beziehungen konsolidieren, die sich anfangs im Geheimen und später mit dem Erwachen des europäischen Gedankens in Freiheit Geltung verschafften.
Die Gebräuche und Traditionen fanden innerhalb der autochthonen deutschsprachigen Gebiete langsam wieder zu alter Stärke zurück und der Assimilationsdruck aufgrund der Unterdrückung ließ nach und ermöglichte damit die Entdeckung der eigenen Identität. Nun endlich stellte die Zugehörigkeit zu einer Minderheit keine Beeinträchtigung der freien Meinungsäußerung mehr dar.
Die Stärke der eigenen Wurzeln und die ethnische Zugehörigkeit fanden in einer Identität ihren Ausdruck, die – wenn sie auch mit den einstigen Bewohnern unwiederbringlich verloren scheint – nun doch ihr Recht auf eine Wiedergeburt unter neuen Vorzeichen einforderte. Um die Beziehungen mit den Menschen der eigenen Volksgruppe im nahen Österreich wieder aufzunehmen bzw. aufrechtzuerhalten, entstanden im Kanaltal entsprechende Kulturvereine. Der erste diesbezügliche Verein wurde 1979 in Italien gegründet. Im Jahr 1989 bildete sich in Kärnten eine Gruppe mit denselben Zielen und begann eine kontinuierliche Zusammenarbeit und einen Austausch über Themen der Identität, Kultur, Geschichte und die gemeinsamen Traditionen. Ein einziges und durch Grenzen, die heute glücklicherweise nur mehr formellen Charakter haben, geteiltes Volk war endlich wieder vereint.
interessante, ma manca la componente slovena che partecipava alla vigta e cultura della Valle a pieno titolo